Riteniamo che ieri il capo del Dipartimento istituzioni, con la sua dichiarazione a sorpresa alla fine di un lungo dibattito (a sorpresa sino a un certo punto, poiché l’annuncio di ritirare il messaggio a favore della polizia unica aveva tutta l’aria di essere stato concepito con largo anticipo), e la maggioranza del parlamento, che ha quindi decretato il rinvio del dossier in commissione, abbiano rimediato una pessima figura agli occhi dei Comuni. Di quei Comuni che stanno cercando, attraverso le convenzioni, di dar vita alle otto regioni di polizia comunale stabilite da una legge – la LcPol – che proprio governo e Gran Consiglio hanno voluto non più tardi di quattro anni fa. L’aver rimandato la decisione se introdurre o non introdurre un solo corpo di polizia in Ticino non fa altro che perpetuare il clima di incertezza in cui vivono gli enti locali dall’aprile dello scorso anno. Da quando cioè il Consiglio di Stato ha varato il messaggio – da ieri ritornato nei cassetti dell’Esecutivo, dopo l’esternazione di Gobbi in zona Cesarini – a sostegno della mozione del liberale radicale Giorgio Galusero pro polizia unica.
Il ministro ha detto di voler progettare «una polizia ticinese». Non unica, ma ticinese. Un escamotage linguistico per indurre in parlamento i contrari alla realizzazione di un solo corpo di polizia ad appoggiare la sua proposta. Ma se non è zuppa è pan bagnato, perché prima o poi qualcuno dovrà spiegarci quale sia la differenza tra una polizia ticinese e una polizia unica. E poi, quando vedrà la luce questo progetto? Di sicuro non entro il prossimo 1° settembre, allorché in base alla legge uscita dal Gran Consiglio nel marzo del 2011 ed entrata in vigore l’anno seguente, dovranno essere operative le otto regioni di polizia comunale. E ancora: quale polizia ticinese si vuole progettare se, come abbiamo scritto di recente, non si ha alcuna indicazione attendibile sul numero dei Comuni in Ticino fra tre o cinque anni. E questo è un dato essenziale per poter ragionare su un nuovo modello di polizia e sui costi che ne derivano.
Il rinvio dei dossier in commissione e l’attesa del progetto di polizia ticinese non precludono, si è sentito ieri, l’implementazione della LcPol: anzi, gli enti locali devono dare seguito a ciò che prescrive la legge. Ma con quale spirito, con quale motivazione lo faranno, sapendo che il futuro delle loro polizie è, perlomeno in parte, già ipotecato? Perché, potrebbero domandarsi i Comuni, continuare a investire soldi ed energia nella messa in atto delle otto regioni? Come giustificare al contribuente determinate spese per adeguare i corpi di polizia locale alla legge, se prima o poi dovesse rivelarsi un esercizio inutile? Insomma, quanto accaduto in Gran Consiglio è un pasticcio. Non è un modo di procedere serio. Sulla sicurezza, ha osservato giustamente qualcuno a Palazzo delle Orsoline, non si improvvisa. Ma evidentemente gli inciuci hanno avuto la meglio. Soprattutto, non è così che si procede mentre si cerca di reimpostare flussi e competenze fra Cantone e Comuni. Federalismo, autonomia comunale... Belle parole.
Andrea Manna